In rassegna stampa

Hydrogenia è una società italiana che punta sull’idrogeno grazie a un sistema di estrazione che si basa sull’elettrolisi dell’acqua

Una nuova realtà che sviluppa la catena del valore dell’Idrogeno Verde Ultrapuro attraverso attività di ricerca e progetti di decarbonizzazione: è Hydrogenia, società che si dice pronta ad attivare la filiera dell’idrogeno e offrire soluzioni e tecnologie sempre più concrete ed efficienti, con la mission di realizzazione di progetti per la produzione e utilizzo di idrogeno “verde”, interamente ricavato da elettrolisi dell’acqua alimentata esclusivamente da energia rinnovabile. L’idrogeno è il combustibile del domani: prodotto attraverso processi diversificati, si tratta di un elemento ormai sempre più centrale per la produzione di energia pulita. Già usato nei settori petrolchimico, alimentare e siderurgico, si sta via via diffondendo anche nel settore della mobilità. Economy ha incontrato Gian Luca Greco, Chairman & CEO Greeninvest, la società d’investimento che gestisce Hydrogenia.

Perché oggi i tempi sono maturi per iniziare a puntare sull’idrogeno?

I processi di decarbonizzazione che vanno implementati per riuscire a contenere l’aumento della temperatura del pianeta devono prevedere la sostituzione di un numero vastissimo di tecnologie impiantistiche nate nei passati decenni sulla base di feedstock di origine fossile: una vera rivoluzione che aprirà un fronte di enormi opportunità di innovazione e di business. In primis, parliamo della conversione del sistema energetico – per usi civili, industriali e dei trasporti – in cui accanto all’energia elettrica da fonti rinnovabili si farà strada l’utilizzo del vettore idrogeno. Oggi, a vent’anni di distanza dalle proiezioni anticipatrici e visionarie di Jeremy Rifkin, sembra che i tempi possano essere maturi: oggi ci sono tecnologie di stoccaggio, migliori tecnologie di elettrolisi e piattaforme tecnologiche, che consentono di realizzare impianti sicuri, che hanno considerevoli vantaggi ambientali non solo dal punto di vista dell’impatto sul clima, ma anche in ottica di economia circolare. L’opinione pubblica a livello mondiale, anche a seguito della pandemia COVID-19 (che in questo senso ha avuto un effetto di acceleratore), ha notevolmente aumentato la propria consapevolezza dell’urgenza di interventi radicali, quale sarà certamente l’abbandono delle fonti fossili entro pochi anni o al massimo pochissimi decenni.

Quali sono le differenze tra le varie tipologie (green, blue ecc)?

Parliamo principalmente di idrogeno “grey” e “blue”, entrambi prodotti con tecnologie tradizionali (come il “reforming” del gas), il secondo con cattura della CO2 – dunque riducendo le emissioni climalteranti in atmosfera. L’idrogeno “green”, invece, è l’unico ad impronta di carbonio nulla, perché è prodotto da elettrolisi utilizzando fonti di energia rinnovabile. E’ la soluzione ottimale in ottica ambientale, i cui costi oggi stanno per divenire competitivi con il costo di produzione dell’idrogeno grigio o blu. Nel caso di Hydrogenia, l’idrogeno verde che produciamo è generato in elettrolisi alimentata da pura autoproduzione di energia da impianti rinnovabili in sito e con tecnologie di elettrolisi elevate prestazioni → nessun ricorso al prelievo di energia elettrica da rete, neppur se alimentata da forniture rinnovabili: il nostro modello prevede di presidiare tutta la filiera dal sole/vento alle molecole di idrogeno ed ossigeno.

Come si estrae l’idrogeno e che tipo di impatto può avere?

Qui veniamo al problema principale, per come ad oggi viene prodotto l’idrogeno. Teniamo presente infatti che la produzione mondiale attuale di idrogeno per il 95% deriva ancora, ad oggi dai combustibili fossili, con effetto non certo positivo sull’incremento della CO2 in atmosfera. La quota prevalente è da steam reforming, utilizzando una fonte di origine fossile, il gas naturale. Tale processo consiste nel far reagire metano (CH4) e vapore acqueo (H2O) ad una temperatura intorno a 700–1100 °C, per produrre syngas (una miscela costituita essenzialmente da monossido di carbonio e idrogeno) – può essere ottenuto ulteriormente idrogeno a partire dal monossido di carbonio, mediante una reazione di spostamento del gas d’acqua dell’acqua gassosa, specialmente con un catalizzatore in ossido di ferro. Questo tipo di idrogeno (detto grey), che da solo oggi rappresenta circa il 75% della produzione mondiale di idrogeno, si stima sia responsabile, insieme a quello generato dal carbone, di quasi il 3% delle emissioni globali di CO2. Questo perché il carbonio contenuto nella fonte fossile viene direttamente scaricato all’atmosfera durante il ciclo produttivo. Per ogni kg di idrogeno da steam reforming si immette in atmosfera 10 chilogrammi di CO2. Se vogliamo attuare una strategia che abbia un impatto in modo rapido sul taglio delle emissioni, non possiamo aspettare ancora a lungo.

Altre possibili tecnologie non carbon free per produrre idrogeno sono la gassificazione del carbone, l’ossidazione parziale di idrocarburi o ancora vari processi petrolchimici di cracking. Una delle più mature tecnologie, invece, per produrre idrogeno verde è il ricorso all’energia solare, eolica o idroelettrica: tale energia è utilizzata per rompere le molecole di acqua mediante un processo ben consolidato, l’elettrolisi dell’acqua (basti pensare al primo impianto di larga scala da 30.000 Nm3/h di produzione di H2, che entrò in funzione già nel 1953 a Glomfjord, in Norvegia). L’uso diffuso di idrogeno verde consentirebbe quindi di sfruttare due risorse abbondanti e gratuite e in più il suo utilizzo non produce alcun inquinamento, ma solo acqua. L’idrogeno verde ha un’impronta carbonica pari a zero, non ha eguali nelle attuali fonti alternative di energia primaria; é un elemento disponibile in natura in misura pressoché inesauribile, è stoccabile in forma liquida, gassosa o può essere immagazzinato in altre sostanze (si pensi all’ammoniaca), in funzione dei diversi utilizzi e/o delle diverse distanze su cui debba essere trasportato. In alcuni Paesi, la produzione di idrogeno verde dall’elettrolisi dell’acqua è ormai una realtà abbastanza consolidata anche se procede a rilento, in Italia potremmo dire di essere appena agli inizi, ma a nostro parere con ottime prospettive per i prossimi decenni.

Nel Pnrr c’è spazio anche per questa energia: sarà solo per l’uso commerciale o anche per i privati?

Iniziamo anzitutto col dire che In Italia partiamo da una posizione arretrata rispetto ad alcuni paesi nord e centro europei, che già da anni sperimentano e avviano la creazione di una filiera industriale che accompagni la diffusione negli usi finali. In Italia, per la verità, le competenze scientifiche e tecnologiche non mancano né sono mai mancate, ma è stata carente, come risaputo, una visione strategica sullo sviluppo sostenibile del mix energetico. Ora, con i nuovi obiettive nazionali di decarbonizzazione e la nuova spinta alle energie rinnovabili, sembra che si possa effettivamente essere a un punto di svolta. Il legislatore, infatti, pare intenzionato a sostenere la crescita della produzione e del consumo di idrogeno verde, riconoscendo questa forma di idrogeno come l’unica capace, in ottica di lungo periodo, di apportare effetti significativi sul processo di transizione energetica cui il Paese e l’Europa intera ormai tendono. Rimaniamo al momento ancora penalizzati da un sistema autorizzativo farraginoso e lento, speriamo bene nel nuovo decreto semplificazioni. Se notate, poi, sentiamo spesso parlare di idrogeno grigio, di idrogeno blu, di utilizzo in “blending” dei gasdotti, di singole sporadiche iniziative con sponsor altisonanti in progetti pilota in settori energivori quali l’acciaio o la raffinazione: non crediamo che il futuro della decarbonizzazione si giochi in tali ambiti, né che la filiera industriale potrà mai alimentarsi a sufficienza percorrendo queste strategie, occorre dare un impulso deciso verso la vera svolta, che si chiama idrogeno verde. Tra idrogeno blu (bassa intensità di carbonio) e verde (carbon free), comunque, i target europei prevedono già al 2030 una capacità produttiva, in esercizio, di quasi 7 Milioni di tonnellate/anno; in Italia, si stima che al 2050 su 955 TWh di domanda finale di energia ben 218 TWh verranno soddisfatti attraverso il ricorso all’idrogeno (ovvero per il 23%).

Riguardo al mix, l’idrogeno verde già oggi è competitivo con le altre forma di idrogeno per le applicazioni in mobilità, lo diventerà nel medio termine anche sulle altre applicazioni. E persino riguardo alle fonti fossili alternative, l’idrogeno risulterà rapidamente competitivo in molti usi finali, specie in scenari (come quelli che abbiamo oggi davanti) di ulteriore crescita del costo della CO2 (si pensi che a 100 €/t, l’ idrogeno blu/verde potrebbero essere “a break even” vs soluzioni convenzionali già al 2030, anche nella raffinazione e nella mobilità stradale leggera, senza incentivi, mentre ai valori attuali questo già vale per la mobilità stradale pesante – ferroviaria – navale e per il comparto dell’acciaio). Tra questi usi finali, certamente, si stima possano incidere con una quota significativa anche gli usi energetici residenziali, specie dal momento in cui (anche grazie ai passi avanti che avrà fatto nel frattempo l’attività di ricerca su nuove tecnologie di elettrolisi – Hydrogenia è in prima file su questo fronte -) saranno disponibili ed economicamente sostenibili soluzioni tecnico-impiantistiche ad hoc per utilizzi “retail” dell’idrogeno.

Quali sono i principali ostacoli allo sviluppo di massa?

L’idrogeno, in senso assoluto, paga oggi (ad es nel confronto col gas naturale), l’assenza di infrastrutture come la rete gas in grado di raggiungere le case di ciascuno di noi o quasi, ed un fattore di costo di produzione che lo rende al momento competitivo solo per determinati utilizzi (ma è solo questione di tempo). Il fattore economico vale oggi soprattutto per l’idrogeno verde, anche se in alcuni comparti (come quello della mobilità) già oggi il suo costo è competitivo con fonti energetiche alternative. Restando all’idrogeno verde, noi crediamo che i settori di impiego che per primi beneficieranno del suo apporto alla decarbonizzazione e transizione energetica potranno essere:

1) in primis, quello della mobilità stradale (specie trasporto pesante – TIR – e mobilità pubblica -bus), marittima (specie navi mercantili) e ferroviaria (a sostituzione dell’elettrificazione di linee tuttora a diesel).

Hydrogenia su questi canali di mercato stipulerà partnership industriali e commerciali con operatori della logistica e del trasporto, con compagnie operanti nel settore navale , con operatori della distribuzione carburanti.

2) secondariamente, i settori degli utilizzi industriali di processo, e della movimentazione materiali

3) in una fase più avanzata, i settori degli usi finali residenziali

In misura più contenuta, potrà esserci anche una certa diffusione dell’utilizzo delle fuel cell a idrogeno per la mobilità veicolare leggera, soprattutto nel medio-lungo termine

 

Fonte:

https://www.economymagazine.it/news/2021/07/19/news/con-l-idrogeno-verde-si-rimette-in-moto-l-economia-75334/

 

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